Rinunciare alla paura

Alcuni giorni fa ero sul treno per Basilea. È stato un viaggio non tanto lungo ma bellissimo. Adoro viaggiare in treno, soprattutto in Svizzera (treni puliti, in orario, bagni funzionanti e con tutto l’occorrente… non male eh?), soprattutto in questo periodo dell’anno, l’autunno, con i suoi colori caldi e avvolgenti e paesaggi così belli da essere commoventi. Vorrei poter immortalare ogni dettaglio, ogni albero, ogni foglia, ciascuna con tonalità e sfumature diverse. Purtroppo le foto non rendono mai quanto la realtà, almeno le mie, ma mi basatno come ricordo di un momento felice.

Nonostante fossi letteralmente incantata dalle montagne e dai pascoli che sfilavano sotto i miei occhi, ogni tanto ho spostato lo sguardo su un libro che avevo portato con me. È un libro molto bello, sulla comunicazione non violenta, secondo il metodo proposto da Marshall Rosenberg. Si tratta di un modo di comunicare che pone l’accento sull’importanza di entrare in contatto sia con se stessi, con i propri bisogni e desideri, che con quelli di chi si ha di fronte, instaurando una relazione di profonda empatia. Significa essere presenti in modo totale, ascoltare con il cuore prima che con la mente, per sentire quello che l’altro ha nel suo cuore. È una relazione di alta qualità.

Spesso la violenza nasce dalla mancanza di ascolto, di se stessi prima di tutto. Questo crea una rottura, un vuoto che si vorrebbe fosse colmato dall’esterno, crea aspettative riguardo ai comportamenti e alle reazioni degli altri, e naturalmente scontento quando vengono disattese. S’innesca così una spirale di comportamenti malsani che possono rovinare tante relazioni.

Il titolo del libro, che ancora non è disponibile in italiano (almeno credo, io non l’ho trovato, ma potrei sbagliarmi), è “Cessez d’être gentil, soyez vrai!” (Smettete di essere gentili, siate veri!). Già il titolo mi sembra che contenga un bel messaggio! :-) L’autore è Thomas d’Ansembourg, un avvocato che ad un certo punto della sua vita ha lasciato la carriera giuridica per dedicarsi alla sua passione più grande, quella di comprendere come funzionano le relazioni umane e cercare di renderle migliori.

Oggi anima conferenze e formazioni sia in Europa che in Quebec, per insegnare come integrare la comunicazione non violenta in ogni ambito della vita, lavorativo, familiare e affettivo. È un libro chiaro, semplice e ricco di esempi che aiutano a capire come mettere in pratica il metodo di Rosenberg nella quotidianità.

Ritornando al mio viaggio in treno, non ho avanzato molto nella lettura, ma un passaggio sulla scelta tra paura e fiducia, su quanto stare nella paura possa condizionare la vita anche senza rendersene troppo conto, mi ha particolarmente colpita. L’ho tradotto, cercando di rimanere il più fedele possibile al testo originale.

“Sono personalmente sorpreso di vedere a che punto la paura ha per lungo tempo impregnato la maggior parte dei miei rapporti, delle mie relazioni umane: paura di ciò che l’altro pensa, paura di ciò che l’altro non pensa, paura di ciò che dice, paura di ciò che non dice, paura di un eccesso di parole, paura di un silenzio troppo lungo, paura di mancanza d’amore, paura di un eccesso d’amore, paura di parlare, paura di tacere, paura di essere solo, paura di avere una relazione, paura di non avere niente da fare, paura di sentirmi debordato di lavoro, paura di piacere, paura di dispiacere, paura di sedurre… Accidenti, solo paure! E quanta energia consacrata a combattere queste paure!

Mi ci è voluto molto tempo per realizzare che tutta questa energia “divorata” dalla paura non era dunque più disponibile per l’azione, la creazione, per essere, semplicemente. Più o meno tetanizzato dalla paura, smettevo di essere in movimento, in evoluzione, smettevo di essere. Ero come coagulato nella mia paura, incollato, identificato con la mia paura per la maggior parte del tempo, con solo qualche raro momento di slancio e creazione.

Ricordo con precisione una seduta di analisi durante la quale questo modo di “funzionare” (se così si può chiamare un tale dis-funzionamento!) mi è esploso di fronte: tutte queste piccole paure fianco a fianco, accumulate una dopo l’altra in tanti anni, mi sono apparse di colpo come un cancro in fase di crescita.

Le avevo esplorate una per una, lentamente, durante anni di analisi: “Ho paura di questo, sono inquieto per quest’altro, la tal cosa mi preoccupa.” Esaminate separatamente sembravano benigne, inoffensive, accidentali.

In un lampo, attraverso una fessura della coscienza apertasi nella nebulosa dell’incosciente, creata grazie al lavoro terapeutico, le ho percepite all’improvviso come un tutto, come un’entità in crescita, una rete tentacolare. In un attimo, ho preso la misura di ciò che non era accidentale o occasionale, ma strutturale, cioè rappresentava veramente il mio modo di funzionare. Improvvisamente ho preso coscienza di essere in pericolo di morte. Oh! Forse non in pericolo di morte fisica nell’immediato, ma in pericolo di morte psicologica, in pericolo di diventare quello che Marshall Rosenberg chiama a nice dead person, una gentile persona morta, sorridente ed educata, ma morta dentro, uccisa dalle sue paure. Questa presa di coscienza ha risvegliato il mio istinto di sopravvivenza: era urgente cambiare, era urgente abbandonare la paura e dirigermi verso la fiducia.

Stanco della paura, ho voluto provare la fiducia. Era qualcosa di nuovo la fiducia, era l’ignoto, quindi faceva paura! Pazienza, questa volta ne avevo abbastanza! Mi dedico alla fiducia, ci lavoro sopra, calmo in me tutte le voci interiori che sussurrano e protestano: “Fai attenzione, andrà male, stai attento”, e io mi ripeto: “Abbi fiducia, cos’hai da perdere, la paura non era soddisfacente, peggio che vada anche la fiducia non lo sarà. Non hai nulla da perdere. In quella vita congelata, morivo di noia.”

È un aspetto cruciale della nostra vita: rimanere in quello che ci è noto, ci pesa o addirittura ci tortura, ma che è rassicurante perché lo conosciamo, è familiare come un vecchio cappotto o un jeans usato, oppure aprirci all’ignoto, che può essere infinitamente più bello, infinitamente più ricco, ma che implica un passaggio, un cambiamento.

Ah, cambiare! Smettere di fare le stesse cose, dire le stesse cose, pensare allo stesso modo, per fare qualcosa di nuovo, dire cose nuove, pensare in modo nuovo, pregare in modo nuovo!

Se non cambio, muoio, se non mi rinnovo, muoio. Christian Bobin esprime così questa paura dell’ignoto:

“Due parole fanno venire la febbre. Due parole vi inchiodano al letto: cambiare vita. È questo lo scopo. È chiaro, è semplice. Il cammino che conduce allo scopo, non lo si vede. La malattia è assenza di cammino, l’incertezza di quale percorso seguire. Non siamo davanti ad una domanda, siamo dentro la domanda. Siamo noi stessi la domanda. Una nuova vita, è ciò che vorremmo, ma la volontà, che fa parte della vecchia vita, non ha alcuna forza. Siamo come bambini che allungano una biglia con la mano sinistra e non la lasciano finché non sono sicuri di avere in cambio una monetina nella loro mano destra: vorremmo una vita nuova ma senza perdere la vecchia. Non conoscere il momento del passaggio, l’ora della mano vuota.”

Da quando ho deciso di abbracciare la fiducia e guardare in faccia le mie paure, tutta la mia energia è cambiata. Più precisamente, tutta l’energia che prima investivo a combattere e a tentare di gestire le mie paure, potevo ora utilizzarla per cambiare, accogliendo il nuovo. In qualche anno, la mia vita professionale e quella affettiva sono radicalmente cambiate, e in un modo che mi riempie oltre ogni aspettativa. In due o tre anni, tutta la mia vita si è evoluta più che in trentacinque anni. Ho spesso la stessa sensazione che si ha quando si naviga in barca a vela: dopo una lunga sosta, durante la quale la barca si muove girando su se stessa a vele abbassate, cosa che genera una certa nausea, il vento si alza e raddrizza le vele, la barca s’inclina, si orienta e parte, a vele spiegate, verso il largo. È questa sensazione di sentirmi guidato, condotto con gioia in avanti, che oggi è presente in me la maggior parte del tempo.”

Testo tradotto dal libro di Thomas d’Ansembourg “Cessez d’être gentil, soyez vrai!”.